Dipartimento - Pace
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Essere Pace

Dipartimento per una educazione al pensiero ed all’azione quotidiana

Testo a cura di Mario Lanna

Non si dovrebbe parlare solo della pace, ma con la pace nel cuore. Attraverso le parole, le singole lettere, i punti, le virgole dovrebbe giungere a chi legge o ascolta il senso di una pace interiore che sola può addolcire gli animi e predisporre ognuno ad una maggiore tolleranza e solidarietà. La pace è una visione utopistica e profetica della vita e per ottenerla c’è la necessità di porci in modo equidistante dalle cose, per non trovarsi schierati tra gli infiniti pro e contro che riempiono la vita degli uomini. Per non essere catturati nell’infinita altalena tra il bene ed il male, tra la morale e l’etica, tra il religioso ed il laico. La pace, in quanto amore, da tutto è contenuta e tutto contiene. E’ sensazione ed emozione liberate dalle catene del tempo, dalla forza della gravità del pensiero solo razionale, dai vincoli dei falsi moralismi, dalla divergenza dell’essere e dell’apparire e del sentire. E’ maturazione costante, è sforzo ed abbandono, tensione e misura. E’ ciò che rende la vita degna di essere vissuta, consapevole, fatta di scelte reali che conducono ad una liberazione possibile da ogni condizionamento legato al possesso. La pace è amore e perciò libertà.

La pace è solo assenza di guerra?

Se facciamo della pace solo l’altra faccia della guerra, corriamo il rischio di analizzare in modo grossolano quello che abbiamo davanti agli occhi, di fermarci ad un concetto di pace che di pacifico ha poco. La pace è si legata all’idea di guerra – ed allora diventa difficile separarle sia nel tempo che nel modo e luogo - ma c’è una pace solo sociale, una pace che rappresenta il non perpetrarsi di crimini, una pace in gruppi omogenei, in nuclei minori, nelle famiglie, tra e negli individui, identificati nel loro essere persone. La pace si spezzetta e si inserisce in ogni nostra azione, anche nella meno sospetta, e ci rende così responsabili, anche se indirettamente, di ogni violazione in danno di qualunque essere umano, della lesione dei diritti di una o più persone, vuoi attraverso la distorsione del potere, vuoi attraverso l’uso della violenza o di qualunque altra forma coercitiva.

Ma esiste davvero una pace per tutti?

Possiamo davvero pensare che esista una pace universale, che abbracci tutta l’umanità, senza distinguo di alcun tipo? Forse… anche se oggi si dovrebbe dire di no. E’ ragionevole affermare, perlomeno allo stato delle cose, che una pace davvero uguale per tutti ancora non sia realizzabile. Basterebbe rilevare quante siano le guerre in atto sul globo terreste per rendersi conto che la pace è ancora un evento raro e difficile da realizzare. Lo stesso accade se poniamo la nostra attenzione alla mera violazione dei diritti umani, al ricorso alla tortura, all’uso della pena di morte.


La pace distorta

Non mi pare troppo forte parlare di una pace distorta. Abbiamo le nostre preferenze, i nostri colori, sappiamo con certezza, sempre, dove risieda il torto, riusciamo così ad individuare chi sia il cattivo e chi il buono, conosciamo le vere motivazioni che spingono l’animo delle persone a commettere una azione. Ed in più, chi ci rappresenta afferma esattamente le medesime cose che noi pensiamo. Cosa volere di più? Ogni nostra idea, anche la più preconcetta, viene così accuratamente rafforzata e legittimata. E se le voci che si alzano dalle sponde opposte alle nostre ci contrastano con altre motivazioni che noi neppure vogliamo prendere in considerazione, questa diviene così la dimostrazione ultima e decisiva che siamo dalla parte giusta. A cosa serve tutto questo? Sicuramente non è un metodo che ci solleciti davvero a fare una analisi realistica di quello che diciamo, pensiamo o sentiamo. Ci scegliamo compagni di viaggio uguali a noi, così da convincerci che siamo in tanti a pensarla allo stesso modo. In questo modo risolviamo ogni problema, superiamo ogni ostacolo alla nostra libertà di espressione, attraverso l’uso attento, costante, delle “etichette”. Tutto quello che possiamo incasellare tra buono e cattivo, giusto e sbagliato, favorevole e contrario, idiota ed intelligente, ci risparmia un lavoro di consapevolezza che, solo, avrebbe potuto farci scoprire cose diverse da quelle che vediamo. Ci concentriamo su un oggetto davanti a noi e perdiamo di vista l’orizzonte. L’etichetta ci protegge, ci esalta, ci distingue, ci rende visibili a noi stessi e agli altri, e rende visibili questi ultimi a noi. Non dobbiamo porci così troppe domande. L’infedele è sempre l’altro, il diverso da noi, quello oltre il muro, anche se il muro non esiste. Così la pace, vorremmo venisse raggiunta per qualcuno, per altri poco ci interessa. Non sappiamo neppure dove siano situati ceri paesi, non conosciamo i problemi che hanno generato uno stato di belligeranza, come possiamo sapere chi possa aver diritto alla pace e chi no? Non siamo tenuti ad informarci su tutto, il mondo è grande!

Una pace esteriore

Ed ecco, così, che la pace, diviene una pace esteriore, una pace manifestata, politica, diplomatica e, nella sua forma più aberrante, guerra, intesa come unica strada per produrre pacificazioni e democrazie perlopiù imposte. Due concetti di pace esteriore, ben ripresi dai media in ogni loro aspetto, anche nei più insignificanti. Una parcellizzazione che cancella il quadro d’insieme. Un bombardamento di notizie che ci ubriacano e fanno intravedere la possibilità che la guerra forse non esista, che sia solo il risultato di un’operazione virtuale da cui è possibile allontanarsi cambiando semplicemente canale o spegnendo la televisione. Anche i morti diventano oggetto di esposizione, il dolore perde la sua crudezza già al servizio successivo che ci racconta di come le borse finanziarie abbiano tenuto o siano addirittura in crescita. Si parla della guerra rassicurando gli investitori che tutto quello che vedono non solo non li toccherà nelle loro belle città, ma neppure nei loro risparmi. Le colorate manifestazioni, una volta esplosa la guerra, diventano così quasi anacronistiche, in contrasto con i colori essenziali della morte, del dolore, delle distruzioni, del pianto, della rabbia. La pace non può limitarsi ad una espressione di piazza, benché una piazza globale, che nulla toglie e nulla aumenta alla forza delle motivazioni, alla possibilità delle ragioni.

Si dovrebbe far tesoro del richiamo di Gesù Cristo ai comportamenti esteriori dei farisei, all’indicazione del pregare il proprio Dio in un luogo appartato e lontano dalla vista altrui. E’ una delle posizioni forti del Vangelo, quella dell’indicazione di una interiorità liberata dalla “recita” pubblica delle preghiere. Quanti bravi cristiani esauriscono la loro azione nell’uscita dalla messa domenicale. Quanti vorrebbero, a parole, rivoluzioni che poi negano nella vita privata con i loro stessi comportamenti. Questo non vuol dire non manifestare pubblicamente, non considerare i mass media come qualcosa di positivo che aumenta le possibilità di informazione, conoscenza, che consentono di essere la, sul posto, anche se siamo comodamente seduti in poltrona.. Il vero lavoro a favore della pace deve essere fatto proprio quando cala il silenzio, faticosamente tendendo i fili della ragnatela tra tutti coloro che operano. Per fortuna non è nei numeri la ragione delle cose, soprattutto quando questi numeri sono grandi perché organizzati, sono grandi sotto l’aspetto quantitativo ma non qualitativo. Soprattutto, infine, se tornando alla loro vita quotidiana la maggior parte delle persone abbiamo zittita la loro coscienza, non riconosciute le loro responsabilità negli eventi. Se tornando alla loro vita non inizino a porsi in modo nuovo nella loro famiglia, negli ambienti di lavoro, affiancandosi ai discriminati, a coloro la cui stessa esistenza viene negata, alla semplice difesa dei diritti elementari della persona nel suo essere cittadino, quali la libertà di pensiero, di azione, il diritto alla salute, al riconoscimento, alla dignità. In certi casi è importante l’esistenza di piccoli gruppi che però rappresentino in modo adeguato numerosi riferimenti morali, di espressione del pensiero, di libertà ed impegno civile, laico e religioso. Un modo in cui si può cercare di ovviare a tutto questo è attraverso la creazione di grandi occasioni di incontro, in cui tutti abbiano pari dignità, soprattutto tra coloro che non pensano che la violenza sia un metodo valido per combattere la violenza.

La pace interiore

Ora, dovremmo davvero domandarci, ma come può l’uomo, finalmente, prendere il cammino che lo porti al raggiungimento di una pace universale? Sicuramente attraverso un percorso di consapevolezza che difficilmente potrà passare solo per le piazze o per l’idea di una guerra che produca davvero pace. Purtroppo la guerra è un business. Ma lo è anche la pace, in molte situazioni. Anche se quest’ultima non rende probabilmente abbastanza da controbilanciarne i ricavi economici. Fare ricorso ai vari Gandhi, a M.L.King, o ai Vangeli, per chi è credente, a Madre Teresa, San Francesco, poco serve. Questo è un percorso per iniziati, per chi ha deciso di mettere in gioco se stesso, di pagare in prima persona il prezzo delle proprie azioni. E’ un percorso duro, pericoloso, perché rende diversi, emarginati. Porsi accanto ai diseredati, vuol dire accettare la medesima condizione, se non fisicamente, perlomeno nello spirito. Chi sceglie la maturazione interiore dell’idea di pace, sa che questa si raffronta solo con l’individuo, inteso come singola persona. La pace va insegnata, ma come scelta di vita. Si deve partire dalla persona per arrivare alle masse, il percorso inverso mai ha dato davvero dei risultati decenti e spesso è stato il seme per qualcosa di peggio. La pace deve diventare momento di confronto, di meditazione, di crescita. La pace è amore verso gli altri e verso se stessi. Non si deve attendere di essere su un’auto lanciata a grande velocità per imparare guidare, si deve partire da piccole lezioni e solo alla fine, quando si sarà maturata la tecnica potremmo fare le nostre prove. Per chi crede, il percorso potrebbe apparire più chiaro. La pace che ci portò il Cristo, non è la pace che immaginiamo noi, della tranquillità, della sicurezza. “Vi porto la pace, vi do la mia pace” ……. La Mia pace…. Non ci facilita il compito Gesù Cristo, quando ci indica la strada del distacco dalle cose, del possesso che corrompe, la pace che ci regala è quella della consapevolezza, della solitudine dell’uomo che si accosta agli altri, e non ne teme la presenza. E la Sua pace è quella dell’amore. E come si può dire di amare gli altri se non li si accetta per come sono, se li si vede soffrire senza che nulla si faccia per aiutarli. Finché ci sarà un ricco, o un insieme di paesi ricchi, ed un resto del mondo povero, alla fame. Fino al giorno in cui l’ingiustizia colpirà tanti innocenti, in questo terreno melmoso, la guerra troverà la sua vittoria. La pace non è assenza di guerra. La pace va costruita ogni giorno, nei piccoli gesti quotidiani, nell’aiutare chi ci è vicino ed ha bisogno. Come possiamo pensare di comprendere chi ci è tanto lontano, se siamo incapaci di stendere la mano ai nostri compagni di viaggio? La guerra è solo una delle aberrazioni della mancanza di pace. Le altre sono la fame, l’odio, l’egoismo, l’incapacità di comprendere che nessuno può davvero dirsi diverso dagli altri. La pace va insegnata sempre, perché ci soccorra quando necessita e ci dia la grande occasione di sentirci uomini, tutti uguali, con un unico cammino ed una medesima meta. E soprattutto che non consenta a nessuno di utilizzare la pace per altri fini, economici, politici o legati a qualsiasi interesse personale. L’occidente deve capire che la più grande guerra che sta facendo al resto del mondo, quello povero, va sotto nomi che con la guerra in se possono non avere nulla a che spartire: fame, sete, cure mediche, istruzione, discriminazione.

La pace è interessarsi degli altri con animo tranquillo, gratuitamente, considerando il punto di vista altrui con pari dignità del nostro e non ritenendosi benefattore, parola che sovente nasconde l’idea di superiorità.

Esiste una sola pace?

Come ho già detto, non esiste un solo tipo di pace, laddove le motivazioni sono tra di loro diverse e diversi gli intendimenti per raggiungerla. La pace non esiste, se non c’è pace in una famiglia, o nelle strade, o se chi governa non rispetta e rende giustizia ad ogni singolo cittadino, dove l’economia arricchisce chi è già ricco ed impoverisce chi è già povero. La pace diventa un puzzle impazzito, quando la spezzettiamo, la sezioniamo, la codifichiamo secondo interessi di parte. La pace non è uno stato delle cose, o non solo, ma qualcosa che risiede nell'animo umano. La pace è una sola e non potrebbe essere altrimenti. E’ un modo di essere, di pensare. La pace va agita con il nostro modo d’essere, i nostri gesti devono essere lo specchio dei pensieri, delle emozioni che ne sono prodotte. La pace va insegnata ogni giorno, ogni ora dell’anno, attraverso un insegnamento all’amore, all’ascolto verso se stessi e verso gli altri. Va seminata riconsiderando il nostro tenore di vita, il vuoto consumismo, l’inutilità della maggior parte delle cose che crediamo di possedere. Ed essa germoglierà ogni volta che verranno riconosciuti i diritti anche di un solo uomo. L’educazione alla pace produce amore, empatia, tolleranza, condivisione, altrimenti avremo odio, insofferenza, discriminazione. Noi, oggi, produciamo l’arrogante opulenza della nostra società che contrasta con l’infinito vuoto morale, con l’insofferenza per il dovere, per la poca consapevolezza delle nostre responsabilità. Dovremmo tener presente che siamo tutti interdipendenti. Ogni cosa che accade ad un uomo, in qualsiasi parte del mondo egli viva, ci rende un po’ responsabili della sua sorte. Far finta di non vedere, vuol dire solo sostenere quella violenza cieca che è la causa principale dell’assenza di pace nel mondo. Siamo ciechi, tutti… sordi… distratti da non vedere ed udire quel dolore che provoca la sofferenza di donne, uomini e bambini in condizioni di indigenza talmente gravi da non aver nessuna speranza di vita.

La pace si insegna

La pace non è una condizione naturale dell’uomo come non lo è la guerra. Noi possiamo apprendere l’uso dell’una o dell’altra. Abbiamo il libero arbitrio che ci rende responsabili delle decisioni che prendiamo. Possiamo scegliere molte strade, anche nel tentativo di realizzare la pace, ma deve essere chiaro a cosa andremo incontro, quali risultati potremmo ottenere. .Per mia scelta culturale, ritengo la strada della non violenza quella migliore, perché pur nella sua apparente lentezza – prevede e consente una evoluzione interiore continua che può durare anche anni, forse tutta una vita – è però un significativo contributo alla maturazione del genere umano ed alla storia. La non violenza non è uno strumento connaturato, apparentemente, con l’animo umano. Ma dona una tale ricchezza, un così alto senso di consapevolezza, che non ha confronto con nessun altra scelta civile. Mi sembra inutile ricordare che questa fu alla base dell’insegnamento di Gesù Cristo, fu l’arma potente di cui si servì Gandhi, fu la scelta religiosa di san Francesco, e di mille altri che hanno operato, in apparenza ai margini, ma con una infinita potenza, nella storia umana. La pace, intesa come metodo per raggiungerla, si insegna. Non importa in quale scuola, se religiosa e laica, l’essenziale che tenga conto della sua necessità di basarsi sull’amore, sulla consapevolezza della nostra interdipendenza e responsabilità.

La pace nella cultura dell’uomo per una cultura della pace.

La pace minore

La pace minore non è una pace che sia meno importante, significativa. La pace è fondamentale, anche quando la spezzettiamo ad uso delle nostre piccole necessità, dei nostri bisogni, della nostra incapacità di avere uno sguardo d’insieme della vita. La pace minore è quella non gridata, quella che non pretende di insegnare, ma insegna, che non vuole essere appresa e per questo impregna. E’ la pace dei piccoli gesti quotidiani, che non insegue le grandi imprese. E per questo le realizza. E’ la pace di chi è operatore e destinatario del suo messaggio. La pace minore non è laica e non è religiosa. La pace minore nasce dal silenzio ed al silenzio torna. La pace minore è quella dell’umiltà

L’umiltà e la pace camminano insieme e si sostengono l’una con l’altra sapendo che l’uomo è in grado di avere poche risposte immediate alle sue domande e spesso queste ultime risultano incomprensibili. L’uomo non è in grado sovente di porre questioni che riguardino il futuro, anche se le risposte alla nostra vita, prima o poi, arrivano per tutti e non fanno sconti a nessuno. Quello che seminiamo oggi sarà il raccolto di domani e non tutti i semi germoglieranno nell’animo degli uomini. La pace, allo stesso modo, va seminata per poter produrre frutti nel futuro. Ma in questa società che tutto vuole, subito e senza sforzo, si continua a credere che la pace possa ottenersi non con una maturazione interiore – che non può che essere dura da raggiungere.

Si dovrebbe parlare con amore… più che dell’amore.

Parlare con la pace nella mente e nel cuore… più che della pace.

La pace dovrebbe provocare emozioni nel cuore e pensieri nella mente. E quando la pace e l’amore diventano un modo di vivere, anche i gesti perdono la loro aggressività per farsi carezza.